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Gilles Villeneuve

18/12/2023
Cari appassionati di Auto, Corse e Campioni, oggi vi voglio emozionare con una leggenda. Diciamocelo, stiamo assistendo a un dominio come raramente visto in passato da parte di Max Verstappen, quasi noioso, ricorda quelli di Hamilton e Schumacher e se da una parte mi sento solo di applaudire, dall’altra a me e credo a tutti voi piacerebbe assistere a duelli, sorpassi, molto più pathos.

Ma non c’è dubbio che Verstappen sia già da includere fra i più grandi di tutti i tempi. E io so già che la maggior parte di voi ha nel cuore scritto AYRTON SENNA, il suo sguardo sempre teso, la sua rivalità con Prost, i duelli con Mansell. Come è possibile, allora, che con appena sei vittorie in carriera e mai Campione del mondo, Gilles Villeneuve sia presente in tutti i sondaggi dei migliori e più amati piloti di Formula 1 di tutti i tempi? Spesso si contende con Senna la nomination al numero 1. Con, ripeto, solo 6 vittorie.

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Beh, fatemi ricordare alcune grandissime e irripetibili gesta di questa leggenda.

Nella storia della Formula 1, il 25 aprile 1982, Gran premio di Imola, è inciso nella memoria collettiva ed è famoso come Borg-McEnroe per il tennis, il mitico Tie Break, con una differenza sostanziale: fu un duello fratricida quello fra Gilles Villeneuve e Didier Pironì, piloti al volante di una Ferrari finalmente da titolo certo dopo due anni di monoposto sbagliate. La macchina era la 126C2, motore 6 cilindri turbo che l’anno prima era troppo avanti rispetto alla meccanica, troppi cavalli e le uscite di curva necessitavano di puro coraggio per non finire fuori, ed era toccato a Gilles, con perfino due vittorie miracolose a Montecarlo e in Spagna, continuare ad osare su una vettura così. Erano anni in cui c’era un incidente mortale all’anno, in formula 1. Su 25 piloti, almeno uno sarebbe morto…

Tutti lo sapevano, solo Gilles Villeneuve avrebbe potuto vincere con la Ferrari del 1981, solo lui poteva rimanere in pista, e le vittorie furono appunto addirittura due. In una delle due, riuscì a non farsi superare da 4 monoposto che sul giro erano MOLTO più veloci della Ferrari Quel 25 Aprile 1982 Gilles è al comando e il suo compagno Pironì, fra i più veloci, grandissimo amico tanto che andavano in vacanza insieme con le famiglie, lo segue da vicino. Pironì improvvisamente attacca e va in testa e Gilles pensa che sia tutto per lo spettacolo, d’altronde i due avevano pure gareggiato sull'autostrada del sole fermati solo da un elicottero della polizia all’uscita,  si riprende la prima posizione con una staccata delle sue. Dal muretto box pensano bene di esporre  il cartello ‘slow’. Solo che Pironì attacca nuovamente alla Tosa, scomparendo al comando per non farsi più riprendere. Villeneuve si sente derubato, la sua amicizia con Pironì scompare e non lo guarderà mai più negli occhi, in cima al podio di Imola è scuro in volto.

Dopo giorni, Enzo Ferrari, che si era sempre esposto nel difenderlo il primo anno dove aveva collezionato un incredibile numero di incidenti, dichiarerà “In fin dei conti la Ferrari ha fatto doppietta, e questo è l’importante”. Il tecnico ferrarista Postlethwaite dirà però la frase chiave: “Gilles voleva che la vittoria gli fosse portata su un piatto d’argento, ma anche l’altro fa il pilota…”. E’ il segno che nel passato, nei due anni precedenti, Villeneuve in Ferrari non l'aveva mandata a dire sui ritardi di sviluppo. Quindi Zolder, il gran premio dopo. Pironì improvvisamente davanti a Villeneuve quando manca poco al termine delle qualifiche, non avveniva quasi mai. Gilles esce in pista pur sapendo di non avere più pneumatici nuovi a disposizioni. E nel boschetto di Terlamen salta  sulle ruote posteriori della monoposto di Jochen Mass volando verso il cielo e atterrando su un paletto. Allora le auto erano piccolissime, l’effetto suolo delle minigonne assurdo, l’auto di Gilles aveva fatto più capriole in cielo decollando impazzita.

L’Italia alla notizia fu sconvolta, piansero a milioni. Gilles Villeneuve era l'eroe dei ragazzi, delle famiglie, di tutti quelli che non avevano il meglio a disposizione ma comunque nella vita volevano farcela e vincere. Villeneuve era arrivato in Italia nel 1977 direttamente dal Canada, era stato preso come terza guida verso la fine di quel Mondiale da Enzo Ferrari, doveva essere più di un semplice sostituto di Lauda perché la Ferrari cercava un pilota che potesse emozionare il pubblico e spingere le auto al limite. Villeneuve si rivelò subito, dai primi giorni, il più incosciente e veloce pilota della storia delle Rosse.

Cresciuto nei dintorni di Montréal, si era fatto un nome come fenomeno dei campionati di motoslitta, poi a metà anni Settanta si era comprato una vera macchina da corsa per partecipare alla Formula Ford, dove letteralmente dominò passando quindi alla Formula Atlantic, sempre accendendo il pubblico. Il suo senso del pericolo era inesistente, creò  la “febbre Villeneuve”.

Niki Lauda, già campione del mondo, lo criticò apertamente per la sua spericolatezza, aggiungendo però che: “È l’unico pilota al mondo che durante i testacoda sappia esattamente dove si trovi col muso” Nelle prove spesso finiva entrando nei box con testacoda, suscitando l'ira di tutti e risate dei suoi meccanici. Un ingresso ai box nel Gran premio di Monza rimase nella memoria di tutti, testa coda perfettamente controllato per continuare nella giusta direzione.

Ognuna delle cinque stagioni in cui corse segnò ricordi indelebili, a ogni corsa tutti aspettavano qualcosa da lui. Il primo anno, Gran Premio del Giappone del 1977, al settimo giro della sua terza gara in Formula 1, si avvicinò in modo troppo aggressivo alla macchina che aveva davanti, ci finì sopra con le ruote e atterrò in una zona vietata al pubblico in cui però in quel momento c’erano degli spettatori. Ci furono due morti e decine di feriti.

Potete immaginare i giornali… In Italia le critiche furono durissime e da lì nacque il suo soprannome dispregiativo, “l’aviatore”. Meccanici, ingegneri e dirigenti della scuderia erano spiazzati da un pilota completamente diverso da Lauda. Nessuno aveva mai spinto così al limite le auto. Era indifferente agli incidenti, ogni componente dell’auto si rompeva perché andava più forte di quanto le auto potessero sostenere: in un Gran Premio di Montecarlo arrivò a rompere un semiasse soltanto girando in pista per una cinquantina di giri!!

Non so se abbiate capito bene la mia frase… Non si era mai visto nulla di simile. In alcune occasioni il suo compagno di squadra, Carlos Reutemann, si trovò senza meccanici occupati a riparare la macchina di Villeneuve, il quale però continuava imperterrito per la sua strada. Proprio come Casey Stoner molti anni dopo nella MotoGp, arrivato dalle corse su sabbia e capace di domare una Ducati indomabile per altri, la sua esperienza con le motoslitte in Québec aveva sviluppato una sensibilità alla guida fuori dal comune, dei riflessi senza paragone, rapidissimi, e una capacità di guidare in condizioni avverse, come pioggia o vista nulla, mai vista prima. Gilles aveva fatto da secondo nel mondiale ’79 vinto da Scheckter, non attaccandolo perché da contratto era seconda guida, e Schecker ne fu così stupito da diventarne migliore amico, anche dopo il suo ritiro. A quattro gare dal termine di quel Mondiale, nel Gran Premio d’Olanda, bucò una gomma e prima di andare ai box continuò su tre ruote con l’auto imbarcata, tra il pubblico in piedi in ovazione. Alcune settimane prima, nel Gran Premio di Francia, ingaggiò uno storico duello con René Arnoux, forse il più bello della storia della Formula 1, che vinse dopo continui sorpassi e controsorpassi spinti al limite con una macchina decisamente meno veloce. Dopo quell'anno la Ferrari inanellò un periodo di macchine tremende, che non stavano in pista neppure da sole. La Ferrari aveva da poco introdotto i nuovi motori turbo, potentissimi ma anche molto difficili da gestire, Scheckter comunicò il ritiro a stagione in corso spaventato dai rischi e dai numerosi incidenti.

Solo Gilles spingeva senza paura… Gilles divenne famoso per le sue partenze, nelle prove non aveva scampo e partita sempre almeno dalla quinta fila, ma i suoi straordinari riflessi al semaforo verde lo proiettavano sempre fra i primi 3, lottando poi come non s’era mai visto in tutta la storia, con cose così epiche che neppure nei film di Rocky Balboa si esagerò così. Alettone storto davanti al muso, una prova svolta sotto un nubifragio con lui che segna 11” meno del secondo (UNDICI SECONDI Signori) e gli altri piloti che pensano ad un errore (lui era andato come se niente fosse, e si vedeva zero), e mille altre cose. Ogni corsa aveva qualcosa di Villeneuve da raccontare.

La Formula 1 in Tv divenne seguita come lo sci quando arrivò Tomba, si sapeva che Gilles non avrebbe deluso. La vittoria? Secondaria. Lui avrebbe fatto qualcosa di emozionante. Dalla Ferrari trapelavano vari aneddoti. Per scommessa aveva per esempio impennato la 131, perché i suoi meccanici gli avevano detto: “Non ce la farai mai.” Poi dissero come, appena arrivato, non si capacitarono dei cofani anteriori delle Ferrari commerciali che gli davano in dotazione, sempre graffiati, finché non glielo chiesero, e la risposta fu che si allenava nei riflessi, da 250 a 80 in frenata con muso sotto un camion a piacere, in autostrada, in modo da avere anche controllo totale della velocità. Poi la tecnica del testacoda, per ritrovarsi in direzione opposta in strada, tecnica assunta dai contrabbandieri canadesi e da lui affinata; poi la multa per i 250 in autostrada e record imbattuto e imbattibile Montecarlo-Maranello (hanno tentato più recentemente due piloti professionisti, di notte, a tavola pigiata: niente da fare…).

A un Gran Premio del 1981 Enzo Ferrari telefonò all’Ing. Forghieri, il capo dello sviluppo, dicendo che avrebbe mandato un motore sperimentale da montare sulla vettura di Villeneuve la domenica mattina. Gli disse, dì a Gilles che l'importante è testarlo in gara, per saggiarne la resistenza: era schierato in quinta fila, e Forghieri gli ripeté più volte il concetto: "Gilles, siamo indietro, non ci interessa il risultato, porta il propulsore fino al termine che dobbiamo capire come va!". Lui rispose certo Mauro, sicuramente, capisco. Al verde superò subito le due monoposto davanti a lui, sfiorandole miracolosamente, e poi cercò un impossibile varco tra quelle successive, decollò sopra le ruote di un avversario e finì contro i tabelloni della prima curva.

Naturalmente ha vinto poco, naturalmente è morto giovane, l’anno della macchina buona. Era un sabato, e l’Italia si fermò. Non era mai banale nelle risposte e nelle frasi, fra cui questa: “Se è vero che la vita di un essere umano è come un film, io ho avuto il privilegio di essere la comparsa, lo sceneggiatore, l’attore protagonista e il regista del mio modo di vivere.” Non so voi, ma devo dire che questa frase l’avrei voluta dire io, anche oggi, ma bisogna essere particolari, anzi unici, per poterla dire, e lui lo era.   «Ho visto uno che ha del coraggio», dirà Forghieri al Drake Enzo Ferrari, «se mi chiede se da un punto di vista professionale è pronto avrei dei dubbi, ma quello che ho visto è che guida con grande coraggio».

15 anni dopo la sua morte, nel 1997, il figlio Jacques Villeneuve vince il campionato mondiale sulla Williams, dopo un stagione combattutissima contro Michael Schumacher e la sua Ferrari. Il pilota inglese Nigel Mansell, campione del mondo nel 1992, anni dopo avrebbe spiegato che “la Storia della formula non poteva non certificare e documentare sulla carta la presenza del cognome Villeneuve, come quello più grande fra i piloti da corsa”.


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